Una domanda che si pongono in molti è se l’idrocoltura, ovvero la coltivazione senza terra, di fatto consumi molta acqua e quindi sia in qualche modo una scelta ecologicamente discutibile.

Iniziamo col dire che l’acqua non è un elemento che si possa consumare. Non è come la benzina o l’alcol, per intenderci, che, se usati, scompaiono.
L’acqua, in tutti gli esseri viventi ,viene usata come veicolo, come mezzo di trasporto degli elementi minerali necessari alla sopravvivenza. Viene usata dunque, ma non consumata. Anche l’acqua con cui vengono bagnati i campi agricoli non si spreca: quella che non viene “utilizzata” dalle piante, o evapora o precipita nella falda. È il ciclo dell’acqua che lo insegna.

Si può allora pensare che le piante coltivate in idrocoltura assorbano più acqua rispetto alle stesse coltivate in terra. Ma anche questo è errato. Le piante non “bevono” di più: assorbono solo l’acqua necessaria a veicolare gli elementi nutritivi. La mancanza di terra cambia la struttura delle radici o, per meglio dire, le specializza: se osserviamo una pianta coltivata in idrocultura troveremo più radici sottili e bianche, adatte all’assorbimento diretto dell’acqua.

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Quanta acqua è necessaria dunque? Appena quella che permetta la veicolazione degli elementi nutritivi e nulla più. Nel sistema di coltivazione senza terra l’acqua lambisce appena le radici che si allungano solo per assorbire di più, ma restando sempre parzialmente scoperte. È importante che le radici non siano completamente sommerse: non trattandosi di piante acquatiche, morirebbero rapidamente per asfissia.

Il ruolo fondamentale è svolto dal concime che è solo in parte simile a quelli convenzionali.
Innanzitutto il concime è completo di macro, meso e microelementi utili (sono sedici quelli che non devono mai mancare); inoltre deve poter “stabillizzare” l’acqua ovvero garantirne un pH ottimale e impedire la proliferazione di alghe o microorganismi. Diversamente, l’acqua ristagnerebbe con evidenti problemi igienici e con la conseguente marcescenza delle radici.

Per questo in idrocoltura si usano concimi predisposti, solo apparentemente più costosi: la quantità di elementi richiesti dalle piante si misura in milligrammi e microgrammi. Per questo il concime viene rinnovato mediamente ogni sei mesi.
Altre considerazioni possono far comprendere come l’utilizzo dell’acqua in idrocoltura sia minore che non nella coltivazione in piena terra. Se annaffiamo una pianta in terra, parte dell’acqua andrà nel sottovaso, parte evaporerà dal terreno e solo in minima parte verrà utilizzata dalla pianta.

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In idrocoltura si utilizzano vasi senza foro di drenaggio e le ridotte dimensioni del contenitore riducono di molto sia la quantità di acqua impiegata sia la sua evaporazione dalla superficie.
Da qui il fatto che con questo sistema colturale si utilizza meno acqua del tradizionale; applicato in una serra dove è possibile recuperare anche l’acqua evaporata e quella traspirata dalle piante, è possibile pensare a un circolo chiuso dove il “consumo” è irrisorio.
E per questi motivi, questa tecnica è ideale per tutte quelle regioni dove la scarsità di sorgenti fa dell’acqua un bene più che prezioso e, perché no?, anche per la possibile futura colonizzazione di Marte.